Fosso della Fanara e Fosso della Codella _ Gran Sasso all’orizzonte.
Gli Usi civivi e le Comunanze Agrarie
Di Parlamenti Giuseppe
Gli usi civici derivano dai primi secoli medievali quando i re e i suoi vassalli erano proprietari di tutta la terra, con tutto ciò che conteneva: flora, fauna e uomini compresi. Ma essi, i nobili proprietari, concedevano ai servi della gleba che vivevano nei loro feudi di tagliare la legna, raccogliere funghi, seminare e altri usi civici, con l’obbligo che i frutti raccolti servissero esclusivamente per sé e per la propria famiglia; insomma permettevano loro, scarsamente, il diritto di sopravvivere; da qui il motto: “Ubi feuda, ibi demania”. I diritti di uso civico sono, quindi, quei diritti di godimento quali ad esempio: seminare, pascolare, legnare e simili, che gli abitanti di un Comune o di una frazione esercitano “uti singuli e uti cives”, sulle terre appartenenti al Comune stesso, alla frazione, o ai privati. Le prime tracce documentate degli usi civici nel nostro territorio si rinvengono negli atti notarili fin dal ‘400, ma notizie più precise si rinvengono nei catasti descrittivi: il Catasto Piano del 1783 (o Devoti dal nome del Delegato Pontificio Alberto Devoti che lo approvò e sottoscrisse) e nel primo Catasto Rustico particellare denominato Pio Gregoriano del 1855, aggiornato fino al 1925. Durante il secolo XX si costituirono, nel nostro territorio, le COMUNANZE AGRARIE cominciarono a regolamentare l’uso dei terreni da parte degli utenti, ossia gli abitanti di alcune frazioni cui la Comunanza stessa faceva riferimento, per arrivare attraverso percorsi diversi a divenirne proprietarie: 1) Compravendita dei “diritti utili” dai proprietari dei terreni (o dai loro successori) che li avevano acquistati dalla Reverenda Camera Apostolica; quest’ultima li aveva infatti incamerati a seguito del Motu Proprio di Pio VII del 1801; 2) Cessione a titolo gratuito da parte del Comune di Acquasanta che li aveva ricevuti dal Demanio; Le ricerche archivistiche attuali, non ci hanno ancora evidenziato mediante quale passaggio, la Comunanza Agraria di San Gregorio abbia acquisito la proprietà dei beni che oggi amministra e che ammontano a 33 ettari 57 are e 10 centiare, costituiti nella maggior parte da boschi. Durante lo scorso secolo le leggi che si succedettero tentarono di “liquidare” o “affrancare” gli usi civici, ma la legge 168 del 2017 cambia obiettivo e riconosce, tutela e valorizza i beni di uso collettivo sia dal punto di vista eco-paesistico, come “elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali”, che dal punto di vista giuridico, dichiarandone “… l’inalienabilità dell’indivisibilità dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale…” La legge, in sostanza, ha riconosciuto che la proprietà della terra può essere pubblica e privata, come nei secoli scorsi, ma anche collettiva: quella forma propria delle Comunanze Agrarie.
Estratto dal libro “Il Confine, la Montagna e le Comunanze Agrarie del sud delle Marche” di Giuseppe Parlamenti in corso di pubblicazione.